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Dagli attentati a Barcellona, alla jihad nel Maghreb: censure e inchieste tra le due sponde del Mediterraneo

“Dagli attentati a Barcellona alla jihad nel Maghreb: censure e inchieste tra le due sponde del Mediterraneo”. È stato questo il tema del primo incontro della terza edizione di “Imbavagliati – Festival Internazionale di Giornalismo Civile”. L’iniziativa, si è svolta il 21 settembre 2017 al Pan, con la partecipazione di Ignacio Cembrero (nelle foto di Stefano Renna e Roberta De Maddi), ex giornalista di «El Pais» ed uno dei maggiori specialisti della questione maghrebina, di Fatima Mahfud, rappresentante del Fronte Polisario in Italia, del direttore del «Corriere del Mezzogiorno» Enzo d’Errico, del giornalista Marco Cesario, specialista del Mediterraneo e del Medio Oriente per diverse testate italiane e del disegnatore Fabio Magniasciutti.

Ignacio Cembrero è stato costretto dal Governo Marocchino a lasciare il proprio lavoro. Una storia molto simile a quella che ci aveva raccontato Ali Anouzla nella precedente edizione del 2016. Due giornalisti accusati di apologia del terrorismo per aver pubblicato un video. Nel filmato, Al Qaeda minaccia le autorità marocchine.

«Tre mesi dopo la pubblicazione del video – ha raccontato Cembrero – il Governo Marocchino mi ha querelato alla Procura Generale dello Stato per apologia del terrorismo; dopo cinque mesi e mezzo la denuncia è stata respinta. Mi ha poi fatto causa in sede penale e, per la seconda volta, i giudici hanno considerato le accuse prive di fondamento. La parte più dura e sgradevole riguarda quello che è successo all’interno del giornale: dopo un mese, la direzione mi ha chiesto di lasciare il posto e di smettere di scrivere notizie sul Marocco. Mi hanno dato tre giorni di tempo per scegliere se andare in un’altra redazione de «El Pais». Praticamente avrei potuto fare tutto eccetto occuparmi del Nord Africa. Il giornale aveva paura dello scandalo e alla fine siamo arrivati ad un accordo. Non lo posso esattamente provare, ma sono convinto che il Gruppo Editoriale del Paìs abbia subito pressioni dal governo spagnolo per farmi cambiare lavoro. Venti anni fa non sarebbe successo, ma oggi, in Spagna, i giornali stanno attraversando un particolare periodo di crisi. La stampa convenzionale è molto debole e necessita di aiuti pubblici. Perché il governo spagnolo ha ceduto al Marocco? Perché ne ha bisogno, per la cooperazione contro il terrorismo e la lotta per fermare l’immigrazione clandestina o irregolare. Proprio come l’Italia ha bisogno della Libia».

Sull’attentato a Barcellona Cembrero ha ricordato il periodo di pace che ha vissuto la Spagna prima di questo grande attentato: «La Spagna ha avuto un periodo di pace durato 13 anni – ha spiegato Cembrero – questo, in parte, per l’iperattività della polizia spagnola. In parte perché, nel mio Paese, l’immigrazione musulmana è arrivata più tardi rispetto al resto dell’Europa. Abbiamo poche seconde generazioni di migranti, nessuna terza e sappiamo che i problemi di radicalizzazione difficilmente toccano le prime generazioni. Anche per questo l’attentato a Madrid è stato un colpo duro, i terroristi erano tutti giovani apparentemente integrati, avevano un lavoro (anche se non fisso), non vivevano in un ghetto, si sono radicalizzati e sono stati indottrinati da un Imam, reduce da 4 anni di prigione».

Necessaria dunque, per Cembrero, una cooperazione per abbattere il terrorismo. «Dal punto di vista religioso si può lottare contro il terrorismo, quello che si può fare in Europa, da parte degli stati laici o aconfessionali (come la Spagna), è aiutare i musulmani a costruire valori più compatibili, ma soprattutto cercare l’emancipazione dei Paesi del Golfo, che esportano un Islam pericoloso: l’Islam salafita. Bisogna lottare fino a un certo punto l’immigrazione irregolare, ma permettere alle persone di raggiungere l’Europa in maniera legale. Ricordiamoci che abbiamo bisogno di migranti, non c’è una popolazione giovane nel nostro paese».

Sulla questione catalana, Cembrero ha sottolineato l’aspetto dello scontro attuale tra il Governo Regionale della Catalogna ed il Governo Nazionale Spagnolo. «I partiti nazionalisti catalani spingono per indurre un referendum per l’autodeterminazione per staccare la Catalogna dalla Spagna. Sono ormai cinque anni che chiedono di fondare una Repubblica indipendente. Ma occorre dire che, secondo la Costituzione Spagnola, solo il Governo Centrale può indire questo tipo di referendum. È la seconda volta che i partiti catalani cercano di portare i cittadini al voto per l’indipendenza, la prima fu nel 2014. All’epoca si trattava di una specie di gioco, di una prova di forza, oggi è un progetto serio, e lo Stato Spagnolo ha deciso di impedirlo. Non credo si riuscirà a mantenere la data del primo ottobre come appuntamento per andare alle urne. Entreremo in un lungo periodo di forte tensione tra Madrid e il Governo Regionale Catalano, che ha l’appoggio di una buona parte della sua popolazione, ma non di tutta».

Enzo d’Errico, direttore del «Corriere del Mezzogiorno», ha parlato di censura come un infallibile metodo che il potere adotta da sempre, in forme più o meno forti, a seconda delle zone del mondo. «Il potere è scaltro e furbo – ha spiegato d’Errico – elabora forme raffinate di controllo. Nel Mondo Occidentale oggi, più che di censura nel senso tradizionale, dobbiamo focalizzare l’attenzione su un altro fenomeno, forse più subdolo: la disinformazione che condiziona gli equilibri politici. Pensiamo alle reti nate appositamente per lanciare fake news. Non si è liberi quando si naviga in Internet, perché sono gli algoritmi a direzionare quello che facciamo. In questo modo si crea conformismo, mancanza di dialettica, e opinioni che vengono messe in discussione. È una forma di controllo che il potere esercita sull’informazione nel Mondo Occidentale, anche se crediamo di essere immuni rispetto a quello che accade nei paesi meno evoluti. Da noi è a rischio l’intelligenza e la capacità critica. Il giornalismo vive un periodo di crisi, ma anche di opportunità. Deve sapere, infatti, conciliare l’avvento delle nuove tecnologie con l’informazione, trovando nuovi equilibri».

Fatima Mahfud, rappresentante del fronte Polisario in Italia, ha invece ricordato le sorti del popolo Saharawi che vive nel Sahara occidentale. «Attendiamo da più di 26 anni un referendum di autodeterminazione – ha detto Mahfud – dove finalmente i Saharawi possano decidere se vogliono essere un paese indipendente o parte integrante del Marocco. C’è una missione ONU che dovrebbe organizzare tutto il necessario per permettere ai miei concittadini di votare, ma non c’è volontà politica. Il popolo è diviso in due parti: quelli che vivono nei territori occupati dal Marocco, ai quali sono negati i diritti fondamentali, e quelli che vivono negli accampamenti rifugiati grazie agli aiuti umanitari. Questi ultimi sono i soli a reagire e ad investire sulla popolazione, siamo una Repubblica in esilio ma in una condizione assolutamente precaria. La nostra causa è giusta soprattutto per l’impegno e la tenacia del popolo Saharawi, che ha deciso di non usare la violenza come mezzo di risoluzione del conflitto, ma di investire sulla pace che mi auguro prima o poi arrivi».

ph. Stefano Renna

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